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Nomofobia: che cos’è e come lo Yoga può aiutarti

La nomofobia si riferisce all’ansia che proviamo quando non abbiamo il nostro cellulare a portata di mano, è un problema crescente, ma con la giusta consapevolezza e strumenti come lo yoga, puoi riconnetterti con te stesso e con il mondo che ti circonda.

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Nomofobia

Hai mai sentito parlare di nomofobia? Questo termine si riferisce all’ansia che proviamo quando non abbiamo il nostro cellulare a portata di mano.
in questo articoli scoprirai che cos’è e come lo yoga può aiutarti a superarla.

Negli ultimi anni, si è diffuso un nuovo tipo di dipendenza legato alla tecnologia, che ci invita a riflettere su come possiamo riconnetterci con noi stessi e con il mondo reale.

La nomofobia è un problema crescente, ma con la giusta consapevolezza e strumenti come lo yoga, possiamo riconnetterci con noi stessi e con il mondo che ci circonda.

Se senti che la tecnologia sta prendendo il sopravvento nella tua vita, prova a dedicare del tempo alla pratica dello yoga. Potrebbe essere proprio ciò di cui hai bisogno per ritrovare equilibrio e serenità.

La dipendenza da dispositivi

Se hai mai cercato su Google “i genitori tolgono il cellulare ai figli”, saprai che i risultati possono essere scioccanti.

Storie drammatiche di adolescenti che, dopo aver perso il telefono, compiono gesti estremi rivelano un problema serio. La nomofobia non è solo un termine da usare per far conversazione; è una realtà che colpisce sempre più persone, specialmente i giovani.

Secondo alcune ricerche, trascorriamo in media più di 7 ore al giorno online, pari al 40% del tempo che siamo svegli. E quando il cellulare si scarica o perde segnale, il 53% delle persone manifesta ansia. Questa condizione, insieme a comportamenti compulsivi e a un immediato senso di benessere quando ci riconnettiamo, indica che stiamo affrontando una vera dipendenza. Anche se meno evidente rispetto ad altre forme di dipendenza, la sua normalizzazione dovrebbe allarmarci.

L’ansia da connessione

La nomofobia è una forma di ansia moderna. Anche se non è ancora ufficialmente riconosciuta come disturbo, i dati parlano chiaro: circa il 6% della popolazione soffre di dipendenza da internet, e questo numero cresce fino al 14% tra i più giovani. Siamo diventati così legati alle tecnologie che spesso perdiamo di vista ciò che ci circonda.

I Klesha

Negli Yoga Sutra, Patañjali esplora il tema del dolore umano attraverso i Klesha, ovvero le afflizioni. Questi concetti, che in sanscrito possono essere tradotti come “veleni”, rappresentano pensieri e comportamenti che contaminano le nostre vite. Tra questi, ci sono due impulsi che ci riguardano da vicino: l’attaccamento a ciò che ci genera piacere (Raga) e la repulsione verso ciò che ci provoca dolore (Dvesha). Nel caso della nomofobia, la sofferenza che cerchiamo di evitare è spesso un profondo senso di fragilità. Il nostro smartphone diventa un conforto immediato, simile a un oggetto transizionale. Se inizialmente controllare il cellulare ci dà calma, nel tempo diventa indispensabile. E quando, ahimè, qualcuno ce lo toglie, scatta il panico.

Ripartiamo dal tappetino Yoga

La verità è che, almeno per quanto riguarda internet, la differenza tra fissazione patologica e normalità è spesso questione di forma e intensità, più che di sostanza. Siamo tutti, in un certo senso, un po’ dipendenti. Proprio come chi soffre di dipendenze patologiche, spesso non ce ne rendiamo nemmeno conto. Lo yoga può aiutarci e molto, partendo da quel tappetino che diventa un riflesso dei nostri comportamenti quotidiani.

Ritornando ai Klesha, la fuga dal dolore e l’attaccamento al piacere richiedono una risposta semplice: imparare a “rimanere” e a non scappare. Un momento ideale per mettere in pratica questa lezione è quando affrontiamo un asana che ci sfida. In questo caso, l’asana è come camminare sulla cresta di una montagna, mantenendo un equilibrio instabile tra due estremi: il rischio di sfida e quello di rinuncia. Tuttavia, esiste una via di mezzo: rimanere nell’asana e affrontarne le difficoltà.

Come suggerisce Patañjali, dobbiamo trovare modi creativi per ridurre l’intensità della posizione, sciogliendo la rigidità. Impariamo a entrare nella nostra “grotta interiore” e a seguire l’esempio di Ananta, il serpente flessibile che sostiene il peso della Creazione, non opponendo resistenza, ma adattandosi dolcemente a tutto, come l’acqua. Questa è una metafora preziosa che possiamo portare oltre il tappetino, per aiutaci a fermare la fuga dal dolore, l’inizio di qualsiasi dipendenza.

La verità è che abbiamo bisogno sia del diavolo che dell’acqua santa. Il dolore è uno specchio e un confine che, una volta superato, ci permette di fare un salto quantico. A patto, certo, di imparare la difficile arte del rimanere.

Come lo Yoga può aiutarci

Ma c’è una buona notizia! La pratica dello yoga può essere un valido strumento per contrastare questi stati d’animo.

Ecco alcuni modi in cui lo yoga può aiutarci a gestire la nomofobia:

1. Ritrovare la concentrazione

Le posizioni yoga ci insegnano a stare nel qui e ora. Questo ci aiuta a distaccarci dal bisogno costante di controllare il telefono e a riscoprire la bellezza del mondo reale.

2. Riduzione dello stress

Le tecniche di respirazione e meditazione ci permettono di ridurre l’ansia e lo stress legati alla connessione continua. Impariamo a respirare profondamente, liberando la mente dalle preoccupazioni.

3. Migliorare la concentrazione

Praticare yoga ci aiuta a migliorare la nostra capacità di concentrazione. Quando ci allontaniamo dai dispositivi, possiamo dedicare tempo a noi stessi e alle nostre passioni. Ricorda, il vero benessere si trova al di là dello schermo!